La rinascita della Baraggia passa attraverso le bonifiche del ‘900

    Se state pensando a terreni paludosi o zone inquinate siete fuori strada. Certo, “bonifica” è un  termine che può trarre in inganno: si pensa subito ad aree fangose oppure, considerando le più recenti e tristi cronache, a un sito inquinato che deve essere risanato, ma in questo caso ha un significato ben diverso.

    Negli anni ‘20, quando la politica nazionale rivolse il proprio interesse verso alcune aree depresse del Paese, tra cui la Baraggia, il significato era chiaro a tutti: servivano opere per redimere e riqualificare il territorio, composto da terreni incolti disposti su più livelli, asfittici e argillosi, coperti da una macchia selvaggia composta perlopiù da  brughiere e alberi ad alto fusto, come querce, betulle e carpini.

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    Nel 1929 la Baraggia fu classificata come comprensorio soggetto a trasformazione fondiaria, in quanto considerata una delle 8 aree più depresse d’Italia e la più depressa in Piemonte. Il suo territorio fu delimitato con il Decreto n.1458 del 2 maggio 1931 a firma di Arrigo Serpieri, lo stesso Serpieri che prestò il proprio nome all’omonima Legge n. 215 del 13 febbraio 1933 sulle bonifiche integrali, ancora vigente oggi e conosciuta appunto come Legge Serpieri.  

    Serpieri

    1933 - Arrigo Serpieri è stato il padre della legge quadro sulla bonifica integrale.  

     

    La bonifica è intesa quindi come riqualificazione di un’area depressa, indipendentemente dalla presenza di terreni paludosi, come si legge nel testo unico: “Le opere di bonifica sono quelle che si compiono in base ad un piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici o sociali, in comprensori in cui cadano laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costituiti da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da terreni [...]  suscettibili di una radicale trasformazione dell'ordinamento produttivo”. 

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    Così L'Unità  del 13 dicembre 1949accolse il nuovo ente che avrebbe attuato la bonifica.

    La trasformazione del territorio, avvenuta in meno di un secolo, è una parte di storia fondamentale della Baraggia, che conobbe dalla metà del ‘900 uno sviluppo socio economico senza eguali nella storia.  La sua superficie si estende su circa 44.000 ettari di territorio piemontese, che partono dalla periferia nord di Vercelli e salgono fino alle Prealpi Biellesi, ai piedi del Monte Rosa, mentre a est è delimitato dal fiume Sesia a ovest dal torrente Elvo. Di questo comprensorio fanno parte 36 comuni, 18 nella provincia di Vercelli e 18 nella provincia di Biella.

    planimetria comprensorio 1931

    La planimetria allegata al decreto n. 1458 del 2/5/1931 di delimitazione del comprensorio di bonifica. Il alto a sinistra la firma originale di Serpieri.

    In base agli articoli 54 e 76 della Legge Serpieri furono costituiti i consorzi di bonifica e i consorzi di miglioramento fondiario per curare l'esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche di bonifica nel comprensorio delimitato. Opere di questo genere riguardano, ad esempio, la sicurezza idraulica, la gestione delle acque destinate all'irrigazione, la partecipazione ad opere urbanistiche, ma anche la tutela del patrimonio ambientale e agricolo.  Dopo quasi un ventennio, il 9 dicembre 1950, venne costituito il Consorzio di Bonifica della Baraggia Biellese e Vercellese con il decreto n. 3862 a firma dell’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, un segno di svolta nella storia della Baraggia e del suo sviluppo agricolo, sociale ed economico.  

    Lo stesso Einaudi aveva firmato nel 1939 il volume “Saggi di Economia Rurale” (G. Einaudi Editori E., Torino) con il quale sembra essere precursore dei tempi e nel quale si pronuncia in maniera predittiva nei confronti delle attività che il Consorzio avrebbe svolto negli anni a venire. 

    “L’uomo rese, con l’irrigazione, benefici quei caratteri del suolo che erano naturalmente avversi all’agricoltura… ma l’irrigazione non è essa stessa un miracolo, è frutto di opera millenaria, che mai non resta; che ad ogni generazione si appalesa impari alle nuove esigenze della progredita tecnica agraria e della coltivazione di nuove o rinnovate specie vegetali [...] I canali, dai massimi ai minimi, debbono continuamente essere ricostruiti e modificati. E nuovi spianamenti di terreno, le scomposizioni e ricomposizioni dei fondi rustici, la captazione di nuove acque e l’aumento della massa d’acqua condotta nei vecchi canali impongono diversa distribuzione dell’acqua, sia nel campo sia nello spazio, attraverso la fitta rete che fa giungere l’acqua fino all’ultimo campo”.

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